mercoledì 29 dicembre 2010

Polignano: Cala Paura, un posto legato a dolci ricordi

 Questo è il primo outfit che scatto fuori dal mio paese Rutigliano. E per l’occasione ho scelto uno dei tanti bellissimi luoghi che la mia amatissima Puglia offre:  Polignano a Mare. Conosciuto dai più per alcune simpaticissime scene del primo film del comico capursese Checco Zalone, Polignano dista 33 chilometri da Bari e il suo straordinario centro storico sorge su uno sperone roccioso a picco sul mare. Come il mio professore di geografia insegna, proprio a Polignano il rilievo murgiano raggiunge la minima distanza dal mare creando, così, una pittoresca falesia butterata di grotte, tra le quali ben nota è la scenografica Grotta Palazzese. Per le fotografie ho scelto un luogo a me molto caro, Cala Paura, tra le più frequentate spiagge polignanesi. Tutti dicono che il mare d’inverno abbia un fascino particolare, ed effettivamente è così.
Buon outfit
St.efania












Un ringraziamento particolare va a colui che per scattare queste foto si è improvvisato fotografo!

I WAS WEARING:

BEIGE COAT BY ZARA
SCARF BY ZARA ( <3 )
SHOES BY CHIARINI
ALMA BAG BY LOUIS VUITTON
BLACK HAIRBAND
BLACK BOW BRACELET BY H&M




venerdì 24 dicembre 2010

CHRISTMAS TIME: black dress + red coat

Questo è il secondo outfit natalizio di cui vi parlavo. Come potete vedere ho invertito gli abbinamenti, questa volta cappotto rosso e tubino nero con calza ricamata, acquistata da Calzedonia.
Oggi  raddoppio, visto che durante queste feste natalizie non potrò pubblicare altre foto. Auguro a tutti voi un buon Natale, con la speranza che possiate essere accanto alle persone a cui volete bene.
St.efania









I WAS WEARING:



BLACK DRESS BY ICEBERG
RED COAT BY MOSCHINO
BLACK HAT BY CLOUDE
BLACK SHOES BY ENRICO LUGANI

CHRISTMAS TIME: red dress + black coat

Buongiorno cari, Natale è alle porte e per viver meglio l’aria festiva (che purtroppo quest’anno sto assaporando poco) ho deciso di proporvi un paio di outfits natalizi all’insegna del ROSSO. Immancabile per entrambi gli abbinamenti è il mio rossetto di Chanel.
Nel primo ho deciso di indossare un abito prettamente natalizio acquistato la settimana scorsa a Roma. Devo ammettere che questo è il primo abito rosso che compro, non ne ho mai indossato uno prima d’ora. Indubbiamente particolari e in assoluto le mie preferite sono le scarpe di Miu Miu, adatte ad una serata di festa. Spero che l’idea vi piaccia.
Buon Outfit  e buone feste
St.efania

Photographer: NICO SCAVO
INFO cell 3408476650 (nicoscavo@hotmail.it)












I WAS WEARING:

RED DRESS BY ZARA
BLACK GLOVES BY KOAN
BLACK COAT BY SHI
BLACK HAT BY CLOUDE
SHOES BY MIU MIU







ELEGANZA?

All’aeroporto la settimana scorsa. Entro dal giornalaio e scelgo di comprare “Elle” per allietare l’attesa. Cosa trovo scritto sulla copertina? “Moda  yeti chic”. Ora, io pretendo che qualcuno mi spieghi cosa diavolo è questa “ moda yeti chic”. I signori giornalisti di Elle mi devono assolutamente dire cosa ci fa la parola YETI nella stessa frase con MODA e CHIC. Ditemelo!
E siamo solo alla copertina! Incomincio a sfogliare le pagine e, momentaneamente inebriata la profumo J’adore di Dior (ne era stato evidentemente spruzzato un po’ sulle pagine della pubblicità, quella sì, veramente chic!) , arrivo finalmente a pagina 328 e la sorpresa continua. Leggo inaspettatamente testuali parole “ Wild woman. Che si muove goffamente ( e ci credo, con tutto quel pelo!) tra la folla della città ( magari facendo anche scappar via molti cittadini!). Che dà un calcio all’aria mossa da un impulso animale ( e tra “aria” e “mossa” ci sarebbe stata bene anche una virgola, tra tutto quel pelo!).Che va in giro a piedi nudi come una drop out(?).Che se ne infischia di convenzioni e bon ton ( e ci credo: è uno yeti!). E sceglie uno STILE “PELOSO” (mia risata!) che mixa senza inibizioni visone, piume,volpe,maglia e faux fur ( quindi un mix di mammiferi e volatili). ( E qui arriva il bello) CANDIDANDOSI A DIVENTARE LA PRIMA YETI METROPOLITANA DELLA STORIA.
(Silenzio.)
Parole queste del vice direttore moda di Elle.
Ma veramente c’è bisogno che continui? Per quanto mi riguarda il mio articolo potrebbe tranquillamente finire qui.
Continuo a sfogliare le pagine del servizio fotografico e leggo “ FRANGE ANIMAL INSTINCT,PATCHWORK SAUVAGE, STRATI BESTIALI, RAGAZZA SELVAGGIA, ZOO COTURE”. Ma vi rendete conto? Io vorrei capire se veramente il sig. Zanoletti pensa ciò che scrive. E il problema è che molti grandi nomi della moda hanno contribuito a vestire queste povere modelle, sicuramente accaldate per via di cotanto pelo. D&G, Martin Margiela, Fendi e anche Chanel. Ora, non che io voglia polemizzare a tutti i costi, ma  immagino la faccia della sublime Gabrielle, la immagino mentre si rivolta nella tomba e tutto questo perché il sig. Karl ha deciso di rivestire quelle povere ragazze tutt’ossa di pelo.
C’era un tempo in cui la donna elegante era leggera, dalla silhouette slanciata, raffinata e gentile invece ora la donna è chic come uno yeti. Rifletteteci.
St.efania


ARTICOLO PUBBLICATO SU www.luukmagazine.com


lunedì 20 dicembre 2010

MY FIRST FASHION SHOW: ANGELO MARANI

L'anno sta finendo e come sempre, in questo periodo, io riprendo i mano la mia Moleskine e rileggo tutto quello che vi ho appuntato sopra. Ci sono dediche, frasi di libri, semplici appuntamenti, le date dei miei esami, compleanni e onomastici importanti da ricordare. Quest'anno ho anche deciso di rivedere tutte le mie fotografie. Uno dei ricordi più belli è legato a queste che vi sto per mostrare. La mia prima vera sfilata di moda durante la Fashion Week milanese. Ringrazio e saluto Martina Marani, sperando di rivederla il prima possibile e il sig. Marani, sempre cordiale e gentile. Un bacio a tutti voi.
St.efania
PS: A breve, se la tecnologia mi accompagnerà, riuscirò a mostrarvi anche il video!

























I WAS WEARING:
BLACK DRESS BY ALEXANDER MCQEEN
GREY JACKET BY ZARA
BLACK SHOES BY JEAN-MICHEL CABAZAT
FOULARD BY LOUIS VUITTON

sabato 18 dicembre 2010

THE IMPORTANCE OF BEING…SOCIAL


Il buon Oscar Wilde, ma soprattutto il buon Earnest, non se la prenderanno se li chiamiamo un attimino in causa e defraudiamo lo scrittore irlandese del titolo di una delle sue più famose opere teatrali.
Ma, a dirla tutta, mai parole furono più adatte per descrivere l’andazzo che, volenti o nolenti, tutti quanti stiamo prendendo. E, per “tutti quanti”, intendo precisamente “tutti quanti”: giovani, adulti, anziani, ricchi, poveri, famosi, sconosciuti, onesti, farabutti, uomini, donne, persone, società multinazionali, piccole azienda, cani, canarini, pesci rossi, sedie, tavoli, pillole e lampadari.
Tutti, e dico tutti, sentono il bisogno di mettersi “in rete”.
La riflessione, già in via di maturazione in me da molti mesi, ha subito una notevole accelerazione dopo due fatti salienti: la visione del film “The social network” e la lettura di un articolo dal titolo “L’azienda si fa social” (Capital, numero di novembre 2010, n.d.a.).
Nel sopra citato articolo si parla di quanto sia importante per le aziende avere una pagina su Facebook, Twitter, Flickr, LinkedIn, o un proprio canale su YouTube o ITunes. Tali strumenti, argomentano gli esperti di Gartner Group, sono essenziali per raccogliere dati sulle preferenze dei clienti, rispondere in modo rapido alle loro richieste, fornire assistenza, garantire visibilità, offrire feedback molto più rapidi e gratuiti, interagire con i partner o i potenziali portatori di interessi. E come dare torto a tali esperti, se Facebook, il social network più importante, è, per numero di iscritti, il terzo Paese al mondo, con i suoi 500 milioni di followers (dato, chiaramente, in costante evoluzione), secondo solo a Cina e India (siamo sicuri, ancora per poco)? 
E i ritorni economici? Gli stessi esperti dicono che non ha importanza misurarli. Le statistiche dicono che il 76% delle aziende “sociali” non ha idea del ritorno economico procuratogli dall’essere “sociali”. In soldoni, per i manager l’importante è “esserci”.
E veniamo al film. L’ho visto non molto tempo fa e, malgrado la scarsa qualità dello streaming (sì, internet fa ancora brutti scherzi), mi è piaciuto. Non tanto per la storia, che tutti conosciamo bene e che non smette, nonostante tutto, di lasciare a bocca aperta, ma perché mi ha fatto particolarmente riflettere sul fenomeno in atto.
Procediamo con ordine. Marc Zuckerberg, il “billionaire” più giovane al mondo, decide, nel rigido inverno bostoniano del 2003, di creare un sito che permetta di mettere a confronto i volti di ragazze dell’università di Harvard e scegliere la più carina. Nato per vendicarsi di una ragazza che lo aveva scaricato (non è ben chiaro dove finisca la leggenda e inizi la storia), “face match” ha successo. Ma Marc e i suoi due collaboratori, Eduardo Saverin e Dustin Moskovitz, ricevono (giustamente) critiche da parte dei piani alti del college (d’altronde, se ti introduci nei sistemi interni di facoltà e rubi fotografie e dati, non puoi aspettarti altro). E qui l’idea geniale: un sistema che permetta, a tutti quelli che, di loro sponte, vogliono iscriversi, di avere un profilo e interagire liberamente con tutti gli altri membri del college iscritti. La casa funziona e si estende anche alle università di Yale, Stanford, Columbia; poi a tutte le altre dell’Ivy League; poi in Europa. Poi il boom: tutti possono avere un profilo Facebook. E’la svolta. La società oggi è stimata 50 miliardi di dollari, e, a soli sei anni dalla sua nascita, è la pagina web più visitata al mondo.
La domanda sorge spontanea: perché tanto successo? La stragrande maggioranza degli utenti Facebook si trova spesso a porsi domande del tipo “ma a cosa serviva internet prima che inventassero Facebook?”. E questa, a mio parere, è una cosa tanto grave quanto indicativa di una società in cui i rapporti umani fanno sempre più spazio a quelli virtuali, “Facebookare” è diventato un verbo di uso comune, e “se non c’è su Facebook, allora non è vero” (e io che mi limitavo a usare la stessa espressione solo per Wikipedia). Secondo il mio modesto punto di vista, l’utilità del social network è decisamente inferiore ai “danni” che sta provocando. Riflessione drammatica? Forse. Ma il congelamento che vedo nei rapporti, la scarsità di gente che predilige alla parola “parlata” quella “digitata”, l’importanza attribuita a link, foto, bacheche, mi spaventa non poco.
Zuckerberg e gli avvocati matrimonialisti possono stare tranquilli; non sono in molti a pensarla come me.




Giuseppe

giovedì 16 dicembre 2010

PERCHE' ADIRARSI?

Prima c’erano solo i blog di moda, adesso c’è chi apre un blog di moda per criticare chi ha un blog di moda. Scusate il gioco di parole, ma era doveroso! Il mio personalissimo parere sull’argomento? Io, laureanda in lettere, diplomata con cento ( mio malgrado senza lode!), amo la moda nella misura in cui per me è un hobby e resta tale.PUNTO.
Dico questo perché ultimamente ho letto articoli di fashion blogger che ne criticavano altre. Le prime, laureate, acculturate, a mio giudizio intelligenti e capaci, fondano la loro futura carriera da scrittrici sulla critica totale e costante. Parlo io che, nel 90% dei casi sono d’accordo con loro! Concordo quando dicono che le fashion blogger sono come manichini, concordo con loro quando dicono che il fashion system le utilizza some indispensabile fonte di pubblicità, concordo con loro quando dicono che “ai manichini” non dovrebbe essere affidata alcun tipo di rubrica su nessun autorevole giornale di moda, perché c’è gente come me, che studia anni per farlo e probabilmente non ci riuscirà senza avere santi in paradiso. Concordo con loro quando dicono che molte hanno un linguaggio talmente elementare da poter essere paragonato a quello di un bambino di quinta. 

Ma c’è da dire anche che la Ferragni ( oggetto di molte e giustissime critiche) è stata tra le prime italiane ad aprire un fashion blog, c’è da dire che, effettivamente ha molte cose da far vedere ( per concessione paterna, per concessione del ricco fidanzato o per concessione dello stilista di turno) e c’è da dire anche che tutto quello che indossa le sta bene ( per concessione divina!). 
Questo non significa che le critiche non devono esserci. Anzi. Io per prima potrei avanzarne alcune. 
Queste donzelle decidono di parlare in inglese, pur avendo un inglese improponibile? Certo! Ma a loro non importa, devono solo comunicare dove sono, in quale albergo a cinque stelle alloggiano, cosa hanno mangiato, cosa hanno comprato e cosa devono ancora acquistare. Non devono tenere una conferenza su Dickens! Il loro italiano è incomprensibile? Certo! Non conoscono i congiuntivi? Certo! Ma Dior, Burberry ed Hermes li sanno pronunciar bene, e questo a molte lettrici evidentemente basta, considerando il numero altissimo di persone che le seguono giornalmente. In realtà loro non si propongono come giornaliste di moda, l’errore è fatto da chi, scelleratamente, decide di metter a loro disposizione una rubrica sul proprio giornale. Non sanno scrivere. E va bene così. A loro non interessa entrare a Palazzo Pucci e ammirare la differenza tra i vari stili architettonici utilizzati, a loro interessa sedersi con il cane-oggetto sul divano dal rivestimento chic e farsi fotografare. Non bisogna pretender di più! Non vale la pena adirarsi così tanto!
A questo punto bisogna necessariamente distinguere il lavoro della blogger dal lavoro della giornalista. Sono due cose diverse. Io cerco, nel mio piccolo, di farle entrambe. Detto ciò, non mi sento una cretina che sorride di fronte alla macchina fotografica. Anche io, quando presento un outfit, uso un linguaggio colloquiale cercando di approfondire poi i temi che mi interessano, scrivendo articoli. Devo aggiungere anche che noto, considerando le statistiche di visualizzazione del mio blog, come la maggior parte dei fruitori si soffermi solo sulle fotografie.
La cosa non mi scoraggia, anzi. Inizierò una collaborazione con un giornale nel mio paese, mi occuperò forse di cronaca, forse di eventi, forse di mostre e anche forse di moda. Continuerò a scrivere riflettendo sui corsi e ricorsi storici delle tendenze in relazione alla società che cambia, a volte evolvendosi, a volte regredendo visibilmente. 
Concludo dicendo che le critiche servono ma ci sono diversi modi per formularle. Tutte coloro che scrivono articoli criticando Chiara Ferragni, Maria Latella e compagnia bella, nel novanta per cento dei casi mi vedono d’accordo ma trovo che l’atteggiamento “critico tutti perché ho iniziato a farlo e non la smetterò non prima di veder Chiara Ferragni senza una lira, senza Balenciaga e senza fidanzato strafigo” sia alquanto ridicolo e decisamente inutile.
St.efania




In Rome with my pink Eskimo

Buongiorno cari! 
Oggi vi mostro un po' di foto scattate a Roma qualche giorno fa. Mi scuso per la qualità delle immagini ( le fotografie sono state scattate con la mia macchina fotografica!). Spero comunque che il mio nuovissimo Eskimo rosa vi piaccia. L'outfit è molto semplice, è un total black con stivali chiari, dello stesso colore dell'imbottitura del giaccone. Spero di proporvi quanto prima, altri outfit con l'Eskimo, dal quale ormai non mi separo più!
Un bacio 
St.efania







PINK ESKIMO BY EQUIPE '70
BLACK SWEATER BY ZARA
MY MUM'S SCARF
HAT BY CLOUDE 
BLACK TROUSERS BY CHLOE'
BOOTS BY OVS (ottimo rapporto qualità prezzo)